Consiglio di Stato, Sez. IV, sent. del 17 giugno 2020, n. 3896.
La domanda di trasferimento presentata da un Carabiniere, ex art. 398 del regolamento generale dell’Arma, per ricongiungimento non può essere respinta perchè tale ricongiungimento non è al consorte ma alla compagna convivente more uxorio.
La Sezione condivide le conclusioni alle quali è pervenuta la Sez. III del Consiglio di Stato che, in una materia contermine a quella di cui si discute, equipara il convivente al coniuge ai fini dell’ottenimento o del rinnovo del permesso di soggiorno. E ciò fa ritenendo che tale più ampia interpretazione della legge <<non risponde solo ad un fondamentale principio di eguaglianza sostanziale, ormai consacrato, a livello di legislazione interna, anche dall’art. 1, comma 36, l. n. 76 del 2016, per quanto qui rileva, sulle convivenze di fatto tra “due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un’unione civile”, ma anche alle indicazioni provenienti dalla Corte europea dei diritti dell’uomo che, anche in questa materia, si è premurata di chiarire che la nozione di “vita privata e familiare”, contenuta nell’art. 8, par. 1, della Convenzione europea dei diritti dell’uomo includa, ormai, non solo le relazioni consacrate dal matrimonio, ma anche le unioni di fatto nonché, in generale, i legami esistenti tra i componenti del gruppo designato come famiglia naturale>>.
La giurisprudenza della Corte EDU – valorizzata dall’indirizzo in questione – afferma che il diritto del singolo al rispetto della propria vita privata e familiare, sotto specie di tutela dell’unità familiare, costituisce un limite alle prerogative statali di gestione dei flussi migratori e che, conformemente al diritto internazionale generale, rientra in tali prerogative la regolamentazione dell’ingresso, del soggiorno e dell’allontanamento degli stranieri. Secondo la Corte, in attento bilanciamento tra diritto al ricongiungimento familiare e prerogative statali, da un lato le misure di espulsione possono costituire un’ingerenza nel diritto al rispetto della vita privata e familiare, la cui legittimità deve essere vagliata alla luce del par. 2 dell’art. 8 della Convenzione (legalità, necessità in una società democratica, proporzionalità); dall’altro lato, il rispetto degli obblighi positivi scaturenti dall’art. 8 può, in determinate circostanze, imporre agli Stati contraenti di autorizzare il ricongiungimento familiare di cittadini stranieri.
Sembra dunque ragionevole dedurne, ad avviso della Sezione, che, là dove non si manifesti una esigenza di tutela della sovranità dello Stato, il diritto al rispetto della vita privata e familiare possa e debba espandersi nella sua interezza.
L’equiparazione – ovviamente ristretta al solo profilo di specie – al rapporto matrimoniale e all’unione civile della stabile convivenza di fatto, attestata da certificazioni anagrafiche, appare per di più del tutto coerente con la giurisprudenza della Corte costituzionale la quale, ferma restando la discrezionalità del Parlamento nell’individuare le forme di garanzia e di riconoscimento per le unioni affettive diverse da quella matrimoniale, si è riservata la possibilità d’intervenire a tutela di specifiche situazioni con il controllo di ragionevolezza (sentenza 15 aprile 2010, n. 138), come infatti più volte è avvenuto per le convivenze more uxorio (a partire dalle sentenze 7 aprile 1988, n. 404, e 20 dicembre 1989, n. 559; da ultimo sentenza 23 settembre 2016, n. 213).
Sulla scorta delle considerazioni precedenti, l’esigenza di tutela dell’unità della famiglia, alla quale è improntato l’istituto del ricongiungimento (Corte costituzionale, 30 maggio 2008, n. 183), non può non prevalere sulle difformi previsioni della normativa interna dell’Arma dei carabinieri.
Fonte:ildirittoamministrativo.it