Le uniche novità sono che nessuno vuole più operare all’interno del carcere, tanto che si palesa una fuga da parte del personale, in particolare della custodia, verso il mondo esterno, alla ricerca di compiti altri estranei al contesto.
Pubblichiamo un’analisi di Antonio Nastasio, ex dirigente superiore dell’Amministrazione penitenziaria, in quiescenza, sul Corpo di Polizia Penitenziaria.
La situazione nella quale si trova ora il Corpo di Polizia Penitenziaria è di totale stallo: spicca di vedetta di fronte al Deserto dei Tartari della giustizia, salvo poi trovarsi assalita , d’impeto, da una circolare del Ministero degli Interni a firma del Capo della Polizia.
La situazione nella quale si trova ora il Corpo di Polizia Penitenziaria è di totale stallo: spicca di vedetta di fronte al Deserto dei Tartari della giustizia.
È chiaro che in questo stato di attesa perenne, l’unica azione possibile sembri essere quella della fuga, facendosi trasferire o promuovere pur di andare oltre o altrove. Le uniche novità sono che nessuno vuole più operare all’interno del carcere, tanto che si palesa una fuga da parte del personale, in particolare della custodia, verso il mondo esterno, alla ricerca di compiti altri estranei al contesto.
Le varie proposte di riorganizzazione del Corpo di Polizia Penitenziaria abbozzate in questi ultimi anni, partono da concetti totalmente assurdi ed altrettanto improponibili, lasciando poco spazio alla positività, alla creatività e al buon vivere all’interno di una struttura certamente non libera di organizzarsi o di autogestirsi. Le proposte vanno dalla richiesta di essere incorporati nella Polizia di Stato a quella di essere Educatori di Stato, senza però indicare quale siano le competenze, le mansioni e i servizi ad essi connessi; sono forse boutade per tenere calma la situazione che appare quantomeno disastrosa e incandescente?
Personalmente, non posso altro che vedere e indicare come intervento immediato uno scioglimento del corpo di Polizia Penitenziaria, con un contemporaneo passaggio di alcune sue competenze ad altre strutture dello Stato, quali quelle non perfettamente attinenti alle azioni legate al contenimento di persone che hanno violato la legge dello Stato.
Pertanto, visto il costante ricorso ad azioni d’impeto per gestire le carceri, sarei dell’idea che queste non vengano mai attuate o, visto che ad impossibilia nemo tenetur, date a corpi estranei alle carceri come la Polizia di Stato. Un passaggio che dovrebbe avvenire attraverso un collegamento funzionale con quest’ultima che viene ad istituire un reparto apposito, nel momento del bisogno di un supporto nelle frequenti situazioni di conflitto e di tensione all’interno della struttura carcere, e terminato questo momento di conflitto che ritornino presso la sede. Recenti disposizioni del Ministero dell’Interno andrebbero verso questa direzione, confermando la mancata capacità del Ministero della Giustizia nel produrre cambiamenti o riconfermare vecchie e conosciute modalità operative.
Altra attività in atto, data alla Polizia Penitenziaria, è quella legata al controllo esterno, di soggetti in esecuzione pena non detentiva e attualmente in corso presso gli l’UEPE (ufficio che cura l’attuazione dell’esecuzione penale esterna). Detti compiti di controllo sul territorio delle persone sottoposte a misure di sicurezza o a misure alternative al carcere, è per legge demandata ed assolta ad assistenti sociali del Ministero della Giustizia, ma di fatto viene tolta a detti AA SS e data alla Polizia Penitenziaria. I cambiamenti a cui andrebbe incontro il Corpo di Polizia Penitenziaria coinvolgerebbe quindi anche l’Ufficio che si occupa della gestione della esecuzione non carceraria, esonerandolo dalla funzione del controllo (si spera questa volta venga previsto con una legge).
Ad esso rimarrebbero solo i compiti residuali di aiuto, e chi meglio delle Regioni potrebbe attuarli in maniera sussidiaria.
Il compito invece del controllo, fatto venire meno, con circolare del DAP, quello di servizio sociale, è già ampiamente codificato ed assodato in maniera organica nel territorio, dalle Forze dell’Ordine, per cui appare più idoneo che questa parte di Polizia Penitenziaria, passi ad un corpo o settore particolare dei Carabinieri, che per compito istituzionale hanno quello non solo dell’indagine, ma anche del controllo territoriale.
In sintesi le competenze ora date al Corpo di Polizia Penitenziario sia quelle interne, non di natura trattamentale, al Ministero degli Interni, quelle di pertinenza esterna a nuclei specializzati dei Carabinieri passino con le stesse modalità di acquisizione del Corpo della Forestale, lasciando ai singoli appartenenti del dissolvendo Corpo, la possibilità di scelta tra i due corpi su detteti o permanere in carcere con compiti prevalentemente trattamentali.
Infine, altra desiderata (della Polizia Penitenziaria) è che possa avere principalmente una connotazione trattamentale, come indicato dall’ art 71 comma 1 UE del 2006, che comporta un impegno in prima persona del Territorio e del Privato Sociale. Parlo della costituzione di un gruppo trattamentale che faccia capo al settore educatori delle carceri, quindi civile, senza più coinvolgimenti con altre forze di controllo militari del territorio, fatti salvo gli interventi per riportare l’ordine, già demandati alla Polizia di Stato.
Un diverso assetto del Corpo di Polizia Penitenziaria non certo diviene la panacea per tutti i problemi del carcere, specie quelli del sovraffollamento e della prescrizione dei reati, ma è un buon punto di partenza. Resta da pensare a soluzioni per ricollocare un alto numero di detenuti in sicurezza attenuata presso strutture sostitutive alle attuali carceri. Penso a strutture di ampie dimensioni gestite dal Privato Sociale, come ex caserme ed ex ospedali dismessi per accogliere chi non ha risorse esterne o chi è invalido e per motivi vari, ha una assenza di familiari che possano accogliere. Queste neo strutture, già previste dal governo Monti, verrebbero finalizzate per le attività socialmente utili e per un graduale personale passaggio alla totale autonomia. Il controllo sarebbe poi totalmente affidato a reparti di Polizia penitenziaria, esterni alla struttura, a garanzia degli accessi e dell’ordine interno alle stesse.
L’attuale politica di disperdere il carcere sul territorio, basata sul principio dell’audeterminazione, in piccoli raggruppamenti di detenuti, garantisce pochi numeri, costi elevati, e pochissima garanzia sul controllo sia delle persone che della struttura che li ospita, Inoltra da avvio, come contro risposta, ad un controllo massiccio del territorio che indirettamente va a colpisce non solo il nucleo di accoglienza del condannato, ma per riflesso tutto il contesto sociale che è nelle vicinanze. Questa soluzione va ad interferire direttamente sulla libertà e sulla privacy del singolo cittadino non coinvolto nel problema, ponendo di fatto le basi per uno Stato di Polizia.
Queste soluzioni, dato il graduale venir meno dei principi informatori dell’ Ordinamento Penitenziario, voluto dai Padri fondatori, da me già precedentemente presentate, potrebbero essere la risposta nuova e diversa da proporre al nuovo governo fatto di politici e di tecnici, proposta, che vuole la funzionalità legata alla economicità ed alla gestione del buon prodotto, alias inserimento di un soggetto che ha errato all’interno della collettività.
Antonio Nastasio, ex dirigente superiore dell’Amministrazione penitenziaria, in quiescenza, che ha vissuto in prima persona le epiche rivolte degli Anni Settanta e vive con sgomento quelle attuali.
Fonte: Bergamonews.it